Gettoni telefonici anni ’60 e ’70: alcuni sono ricercatissimi dai collezionisti

Se hai mai tenuto in tasca un gettone telefonico anni ’60 e ’70, sai già che non era solo “un pezzo di metallo”. Era la promessa di una chiamata, la corsa alla cabina sotto la pioggia, l’attesa che qualcuno finisse, il rumore secco del gettone che scivola dentro. Oggi, quelle stesse piccole “monete” sono diventate oggetti ricercatissimi dai collezionisti, e in certi casi valgono sorprendentemente tanto.

Perché proprio i gettoni anni ’60 e ’70 sono diventati “caldi”

In quegli anni le cabine pubbliche si diffusero davvero su larga scala e, con loro, i gettoni. Erano strumenti quotidiani, ma anche prodotti industriali con varianti, sigle, marchi e piccoli dettagli che oggi fanno impazzire chi colleziona.

Il bello è che non devi “indovinare” l’età del gettone: spesso te la racconta lui.

Le sigle numeriche: la data è lì, in chiaro (quasi)

Molti gettoni riportano una sigla di quattro cifre che indica anno e mese di conio. Il classico esempio è 6504, che si legge come 1965, aprile. È uno di quei particolari che, quando lo scopri, inizi a guardare ogni gettone con occhi diversi, come fosse una piccola etichetta del tempo.

E poi ci sono le aziende coinvolte, un mosaico di sigle che racconta la storia della telefonia italiana: SIP, UT, Stipel, Telve, Teti, ESM e altre ancora.

Com’erano fatti: tre scanalature e ottone “serio”

Dal 1945 in poi il design tipico prevede tre scanalature, un tratto distintivo immediato, quasi “tattile”. Il materiale più comune è l’ottone, con caratteristiche spesso ricorrenti (per alcuni tipi si citano sigle come OT93), e misure che sembrano standardizzate: circa 7 grammi di peso, 24,5 mm di diametro e 2,2 mm di spessore.

Sono numeri freddi finché non pensi a quante mani li hanno passati, quante cabine hanno visto, quante urgenze hanno accompagnato.

Il valore nominale che cambiava (e dice molto sull’epoca)

Un altro dettaglio affascinante è che il “costo della chiamata”, riflesso nel gettone, cambiava nel tempo:

  • 30 lire nel 1959
  • 45 lire nel 1964
  • 50 lire nel 1972

Non è solo economia, è costume. È il mondo prima dei cellulari, quando comunicare aveva un gesto fisico e un prezzo percepito.

I gettoni più ricercati: quelli che fanno davvero la differenza

Qui arriva la parte che molti aspettano: sì, alcuni esemplari degli anni ’60 e ’70 sono considerati rari e possono superare tranquillamente la soglia “da curiosità” per entrare nel terreno del collezionismo vero.

Ecco alcune sigle spesso citate tra le più ambite, con valori indicativi legati a rarità e soprattutto conservazione:

SiglaPeriodoQuotazione indicativa
6504anni ’60oltre 45 €
7110anni ’70oltre 70 €
7304anni ’70circa 60 €
7704anni ’7045-70 €
7607anni ’7010-30 €

Attenzione però: un gettone graffiato, ossidato o consumato nei bordi può valere molto meno. Nel collezionismo, la differenza tra “carino” e “desiderato” spesso è tutta nello stato di conservazione.

E quelli comuni? Valgono poco, ma non sono inutili

Molti gettoni SIP/UT anni ’60 e ’70, più diffusi, si muovono su cifre piccole, spesso 1-5 euro a pezzo. Eppure non è raro vedere lotti da centinaia di gettoni venduti come piccole collezioni, perché per tanti il fascino non sta nel singolo pezzo raro, ma nel ricostruire una serie, un periodo, una “mappa” di sigle.

Un esempio che gira spesso tra gli appassionati è un gettone con sigla CMM 7810 (1978), visto proposto anche attorno ai 30 euro e oltre in alcuni contesti di vendita.

Perché collezionarli oggi (oltre ai soldi)

C’è una ragione se questi oggetti resistono al tempo: contengono memoria. La loro rarità nasce da varianti produttive, loghi, marchi e piccoli dettagli di conio, ma la spinta emotiva è la nostalgia di un’Italia in cui la telefonata era un rito.

Se vuoi iniziare, il consiglio più semplice è questo: scegli un criterio e divertiti. Sigle per anno, produttori, cabine, regioni, o solo i pezzi meglio conservati. E quando vuoi stimare davvero un valore, affidati a cataloghi e riferimenti di numismatica, perché i prezzi possono fluttuare parecchio.

Alla fine, la domanda non è solo “quanto vale?”, ma “che storia racconta?”. E con i gettoni anni ’60 e ’70, la risposta di solito è molto più ricca di quanto sembri.

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *